Questo testo fa parte degli atti della giornata di studi «Attualità di Kropotkin», tenutasi il 15 marzo 1981 presso Palazzo Dugnani, Milano. Gli atti sono stati pubblicati sul numero 2/1981 di «Volontà».
Kropotkin: il problema dell’etica
di Gian Paolo Prandstraller
L’attualità di Kropotkin sembra anzitutto legata all’attualità dell’evoluzionismo. Kropotkin fu infatti un eminente evoluzionista, e la sua visione del mondo e dei rapporti sociali appare influenzata in modo precipuo da quella corrente di pensiero.
È dunque preliminare a ogni discorso sull’argomento una domanda che riguardi l’odierna influenza culturale dell’evoluzionismo. La risposta non può che essere positiva, giacché l’evoluzionismo conosce oggigiorno una nuova fioritura, dopo l’oblio in cui lo relegarono – nella prima parte del secolo – le scuole storicistiche. Ai nostri giorni, esso si ripresenta come una importante fonte di stimoli intellettuali soprattutto nelle scienze sociali. L’etologia e la sociobiologia sono, per così dire, conseguenze dirette di questi stimoli, ma anche la teoria dei sistemi (oggi largamente applicata) ne risente, se non altro per le sue ascendenze biologistiche e organicistiche. Sotto questo profilo, dunque, il background da cui Kropotkin partiva appare tutt’altro che superato, benché si tenda attualmente a recepirlo in modo meno dogmatico di quanto usasse alla fine del XIX secolo e agli inizi del XX.
Il problema non sta dunque nell’attualità «generica» del pensiero kropotkiniano in quanto pensiero evoluzionistico, ma piuttosto nella originalità di Kropotkin tra quanti ne furono significativi esponenti. In altri termini, ci si può domandare quale sia stato il contributo personale di Kropotkin allo sviluppo di quel pensiero. Ovviamente la questione potrebbe essere riferita al Kropotkin scienziato, geografo, sperimentatore; ma essa appare più producente e ricca di implicazioni se riguarda il pensatore sociale.
In questo campo diventa inevitabile un confronto con altri evoluzionisti più o meno contemporanei a Kropotkin. Costoro furono profondamente interessati al problema del conflitto, saldarono la tematica evoluzionistica dello struggle for life alla grande questione della conflittualità umana; anche Kropotkin fu attirato da questo campo teorico, ma – come vedremo – diede a esso soluzioni originali, sostanzialmente diverse da quelle che, per così dire, tennero banco ai suoi tempi. È opportuno qui operare un confronto con due figure centrali tra i teorici del conflitto: Herbert Spencer e William Graham Sumner. Con Spencer, Kropotkin ha polemizzato a lungo, e ciò conferisce maggiore interesse alla comparazione; analoga cosa non si può dire per Sumner, ma l’importanza di questo scienziato sociale giustifica da sola l’esame comparativo delle due posizioni. Ebbene: Spencer mise ih evidenza come pochi altri il nesso tra «funzioni sociali» e «conflitto», identificando nella concorrenza tra differenti funzioni la principale ragione del conflitto: fu teorico della guerra perché descrisse la funzione dei «guerrieri» nella società primitiva, contrapponendola alla funzione sacerdotale; definì – e il suo paradigma vale ancora oggi – la cosiddetta «società militare», dove una unica funzione subordina a sé tutte le altre e organizza gerarchicamente la società; coerentemente, le contrappose la società «industriale», polifunzionale, poli centrica, non gerarchicamente organizzata. Su una base evoluzionistica, il discorso di Spencer si articolò dunque in termini strutturali, investendo la dinamica dei gruppi in quanto attori di funzioni e portatori di interessi corrispondenti a queste ultime. Una tale concezione riflette un alto concetto della «utilità» che le funzioni rivestono: e infatti Spencer, quando ritenne di doversi occupare di etica, pose l’utile a fondamento di questa. Occorre ribadire che egli fu sensibile al problema etico, si rese conto che tale problema forma il vero presupposto di ogni pensiero politico. Ma, in definitiva vide nell’etica una sorta di diretta conseguenza della lotta per la vita. Così Kropotkin commenta, nella sua Etica, le idee di Spencer in campo morale: «Spencer non ha visto che la sola utilità in tutta l’evoluzione dei sentimenti morali. Egli non vi ha individuato nessun principio direttivo, né intellettivo né derivante dal sentimento. In un ambiente condizionato da un certo modo di esistenza è vantaggioso per gli uomini fare la guerra e attuare regolarmente il sistema della rapina; così delle regole di vita che erigono la violenza e il furto a principi morali si stabiliscono tra gli appartenenti a quel determinato gruppo. In seguito, con gli inizi dello sviluppo del regime industriale e commerciale, si modificano e una nuova religione sorge, unitamente a una nuova etica... È curioso che Spencer,’ come sempre assai coscienzioso, rilevi egli stesso alcuni fatti che non ricevono spiegazioni dalla sua teoria della sola utilità come fondamento di tutta l’evoluzione della morale». Come si vede, Kropotkin prende nettamente le distanze da Spencer in questo campo (come del resto in altri, di natura più propriamente filosofica, di cui qui non occorre trattare). Vedremo poco oltre in che cosa consista, e quale significato abbia avuto, questo distanziamento. Basti dire per ora che Kropotkin cercava di uscire dalla logica dello struggle for life, alla quale invece Spencer sostanzialmente si atteneva.
Nel 1907, quando Kropotkin pubblicò nella rivista «Nineteenth Century» il saggio II bisogno di elaborare le basi della morale, che divenne poi il primo capitolo dell’Etica, Sumner aveva appena dato alle stampe la sua opera fondamentale, Folkways, che apparve nel 1906. In quest’opera, Sumner individuava l’elemento determinante del divenire sociale non nella «funzione», ma nel «costume». Sumner fu sostanzialmente un etologo: il suo approccio all’analisi della società passava appunto attraverso lo studio del costume. Chiarendo lo scopo del suo lavoro egli scriveva: «‘Etologia’ è un termine appropriato per indicare lo studio delle maniere, dei costumi, delle consuetudini e dei mores, includendo lo studio della loro formazione, del loro sviluppo e della loro decadenza, e del modo in cui essi condizionano gli interessi che è loro funzione soddisfare... Il termine «morale» indica ciò che appartiene o ha attinenza con i mores; la categoria di moralità non può mai essere definita senza far riferimento a qualcosa di esterno a essa. L’etica, avendo perduto la sua connessione con l’ethos di un popolo, si risolve in un tentativo di sistemizzare sulla base di qualche principio fondamentale le nozioni correnti di giustizia e di ingiustizia, generalmente allo scopo di fondare la moralità su una dottrina assoluta, in modo da renderla universale, assoluta ed eterna» (Folkways, par. 42, trad. it.: Comunità, Milano 1962). In Sumner il problema etico era dunque centrale. Più specificamente in lui l’etica non si configurava come qualcosa di astratto, di desumibile da principi «superiori» alla realtà sociale; bensì come l’insieme dei modi con cui il gruppo umano risolve durevolmente i propri problemi esistenziali, creando sentieri di azione che sono in sostanza soluzioni date a quei problemi. Quando le soluzioni entrano in concorrenza tra loro, esplode il conflitto: questa è la constatazione basilare compiuta da Sumner. In ciò Sumner non si discosta dal principio, comune tra gli evoluzionisti, che l’evoluzione produce una quasi incessante lotta per la vita. Egli scrive infatti, nel primo paragrafo di Folkways: «Esperimenti compiuti con animali appena nati mostrano che, qualora, manchi qualsiasi esperienza della relazione tra mezzi e fini, gli sforzi diretti a soddisfare; i bisogni sono rozzi e irriflessi: questi sforzi si svolgono attraverso prove e fallimenti ripetuti. Tale metodo provoca dolori, perdite e delusioni a ripetizione; tuttavia è un metodo rudimentale di esperimento e di selezione. I primi sforzi degli uomini furono di questo tipo. Il bisogno costituisce la forza stimolante; il piacere e il dolore, agli estremi opposti, definivano in modo rudimentale la linea sulla quale gli sforzi dovevano procedere. L’unica facoltà psichica che occorre assumere è la capacità di distinguere tra piacere e dolore. così furono selezionati i modi di operare che si dimostrarono efficaci, che cioè rispondevano allo scopo meglio di altri, o con minor fatica e dolore. Sulla direzione in cui questi sforzi furono incanalati si svilupparono l’abitudine, la ripetizione regolare e la capacità. La lotta per l’esistenza fu condotta non individualmente, ma a gruppi: ognuno si serviva dell’esperienza altrui, e quella che si dimostrava più efficace raccoglieva perciò il consenso generale. Infine, per raggiungere lo stesso scopo, tutti adottavano lo stesso modo di agire: i modi di agire si trasformarono così in costumi e divennero fenomeni di massa; e in connessione con essi si svilupparono gli istinti. In questo modo sorgono i folkways. I giovani li apprendono attraverso le tradizioni, l’imitazione e l’autorità. In principio i folkways rispondono a tutti i bisogni della vita, in un certo tempo e in un certo luogo: essi sono uniformi, universali nel gruppo, imperativi e invariabili. Col passare del tempo i folkways diventano sempre più arbitrari, positivi e imperativi...». Questa lunga citazione dimostra che, per quanto riguarda il fondamento dei costumi – cioè dell’etica intesa nel senso sopra precisato – Sumner non lo rimetteva alla filosofia o alla teoria morale, ma alla osservazione etologica. Egli inoltre individuava la causa del cambiamento del costume in fenomeni conflittuali aventi il loro epicentro nella maggiore o minore efficacia dimostrata dai costumi stessi nel soddisfare determinati bisogni sociali.
Possiamo precisare ora alcune somiglianze e differenze tra il pensiero di Sumner e quello di Kropotkin. Quest’ultimo ha in comune con Sumner l’idea che solo l’osservazione etologica permette di spiegare i caratteri specifici del comportamento umano. Questa sostanziale identità non gli impedisce tuttavia di dare un’interpretazione particolare al processo di selezione naturale. In una delle prime pagine de Il mutuo appoggio, Kropotkin infatti scrive: «Studiando gli animali, non solo nei laboratori e nei musei, ma anche nelle foreste e nelle praterie, nelle steppe e sulle montagne, notiamo chiaramente che oltre alla guerra fra le diverse classi animali, esiste, forse in maggior misura, il mutuo sostegno, l’aiuto reciproco e la mutua difesa. La socialità è legge naturale quanto le lotte. Indubbiamente è difficile stabilire la preminenza di uno di questi due fattori, ma se cerchiamo una testimonianza indiretta e chiediamo alla natura: ‘chi sono i più adatti: quelli che lottano continuamente fra di loro o quelli che si aiutano a vicenda?’, notiamo che sopravvivono più facilmente gli animali che hanno acquisito abitudini di solidarietà. Di più, essi raggiungono, nelle loro rispettive classi, il più alto sviluppo di intelligenza e organizzazione fisica. Sicché, valutando opportunamente tutta una serie di fatti a sostegno di tali affermazioni, possiamo dire con certezza che il mutuo appoggio è una legge di vita animale come la lotta reciproca: ma, come fatto evolutivo, il primo è più importante in quanto determina le abitudini e i caratteri necessari alla conservazione e allo sviluppo della specie, oltre al fatto che esso consente, con minore usura di forze, maggiore benessere e felicità per ogni individuo». Vi è dunque in Kropotkin un’interpretazione della teoria evoluzionistica, (e più in particolare, dei modi in cui si attua la selezione naturale) molto diversa da quella di Sumner e in genere da quella prevalente ai suoi tempi.
È da questa basilare diversione che Kropotkin è spinto a fare dell’etica una disciplina «primaria», e a considerarne i problemi con particolarissima cura. Prende così corpo un approfondimento del campo etico le cui linee egli espone nel primo capitolo dell’Etica. Kropotkin prende le mosse constatando i grandi progressi fatti dalle scienze nella seconda metà del XIX secolo, e subito precisa: «La scienza e la filosofia ci hanno dato la forza materiale e la libertà di pensiero necessarie a permettere la venuta di precursori, capaci di condurre l’umanità sulla strada del progresso generale. Ma una parte del nostro dominio intellettuale è rimasto arretrato rispetto alle altre: questa parte è l’etica, la scienza dei fondamenti della morale. Infatti non esiste ancora una dottrina che, in armonia con lo stato attuale delle conoscenze, sia in grado di utilizzare le conquiste della scienza per fondare la morale su basi filoso fiche più larghe, e fornire ai popoli civili la forza necessaria per la ricostruzione futura. E aggiunge: «II bisogno di una etica realista si fa sentire fin dai primi anni della Rinascenza scientifica. Bacone, elaborando le basi di una rigenerazione delle scienze, indica nello stesso tempo i tratti essenziali di un’etica scientifico-empirica, munita è vero di una struttura meno dettagliata di quella dei suoi continuatori, ma dotata di una larghezza di generalizzazione che pochi pensatori hanno raggiunto dopo, anche ai nostri giorni». Accenna poi ai contributi dati al pensiero etico dai pensatori del XVII e XVIII secolo, per arrivare a quelli di Comte e di Bentham. A questo punto, così conclude: «Potrebbe sembrare che davanti a tanti sistemi razionali di morale, creati nel corso degli ultimi due secoli, sia ormai impossibile apportare in questo settore qualche contributo che non si traduca in una ripetizione di cose già dette o in un tentativo di combinare le differenti parti dei sistemi esistenti. Ma soltanto il fatto che ciascuno dei tre principali sistemi conclusi sul finire del secolo XIX: il positivismo di Comte, l’utilitarismo di Bentham e di Mill e l’evoluzionismo altruista (cioè la teoria dell’evoluzione sociale della morale, proposta da Darwin, Spencer e Guyau) hanno aggiunto qualche cosa di essenziale alla teoria dei predecessori, questo solo fatto prova che il problema dell’etica non è stato ancora risolto». È dunque chiaro che Kropotkin intuì lucidamente quale ambito di ricerca si aprisse al pensiero evoluzionista a livello etico, e quale importanza assumesse l’etica per l’avvenire della specie umana. L’etica sembra configurarsi in lui come Punto d’arrivo di un lungo viaggio intellettuale: un punto d’arrivo, e – nello stesso tempo – l’inizio d’una meditazione impegnativa, che egli abbozzò ma non portò a termine. Solo il primo volume dell’Etica, fu infatti compiuto. Con l’eccezione dei primi tre capitoli, esso contiene una rassegna delle teorie etiche prodotte dalla cultura occidentale, dai Greci alla fine del XIX secolo. Il secondo volume avrebbe verosimilmente dovuto portare a compimento le linee ideologiche schizzate in quei tre primi capitoli; ma la morte dell’autore ne impedì la realizzazione. Ciò che Kropotkin enuncia in tali capitoli è tuttavia molto importante, lo si può considerare una sorta di messaggio lasciato ai posteri sull’argomento di cui ci stiamo occupando. In sostanza Kropotkin – nel proporre le basi di una nuova etica – nega validità alle seguenti posizioni filosofiche: a) che l’etica debba avere un fondamento religioso; b) che l’etica debba avere un fondamento metafisico; c) che l’etica debba basarsi su qualche «imperativo categorico» di tipo kantiano. Per Kropotkin invece l’etica deve avere un fondamento naturalistico, in altri termini basarsi su fenomeni esistenti in natura e nella storia umana.
L’etica di Kropotkin è dunque una «etologia», una scienza del costume, benché egli le assegni importanti finalità sociali: queste ultime, infatti possono discendere solo dalla constatazione scientifica di comportamenti esistenti nell’ambito naturale in quanto effetti di «bisogni» constatati. Si legge nell’Etica: «Quando si incomincia a considerare lo sviluppo graduale della specie, delle razze umane, delle istituzioni umane e dei principi stessi dell’etica, nel senso di una evoluzione naturale, [diventa] possibile studiare, senza cadere nella filosofia del soprannaturale, le diverse forze che presiedono a queste evoluzioni, ivi compresa la forza naturale della morale... Siamo così in diritto di concludere che lo studio della natura e della storia, giustamente inquadrato, denuncia l’esistenza costante di una doppia tendenza: da un lato la tendenza alla socialità; dall’altro, come risultato di questa, l’aspirazione a una più grande intensità di vita, da cui il bisogno di una più grande felicità per l’individuo, e l’aspirazione verso un progresso rapido dal punto di vista fisico, intellettuale e morale».
Seguendo questa linea metodologica, Kropotkin trova dunque che in natura (e nella storia umana) esistono due fondamentali tendenze: l’una che porta l’uomo a dominare i suoi simili per scopi personali, l’altra che lo spinge a unirsi ad altri uomini per realizzare in uno sforzo comune ciò che non è possibile realizzare da soli. Ciò dà luogo a due «sentimenti» contrastanti: «I primi rispondono a un bisogno fondamentale dell’uomo: il bisogno della lotta; i secondi rispondono a un altro bisogno, ugualmente fondamentale: quello di unione e di reciproca simpatia». Queste grandi tendenze esistono in natura e di conseguenza, devono essere utilizzate come «fatti» su cui fondare un’etica nuova coerente con i bisogni attuali. La mediazione tra l’egoismo e l’altruismo dell’uomo, costituisce la base problematica di un pensiero etico moderno: «... lo scopo principale dell’etica è attualmente quello di aiutare l’uomo a trovare una soluzione a questa fondamentale contraddizione».
Queste intuizioni di Kropotkin hanno trovato un sostanziale avallo nelle recenti acquisizioni dell’etologia e della sociobiologia. Quel comportamento altruistico che egli vedeva in natura (accanto al comportamento conflittuale) ha oggi un fondamento «scientifico» ben più solido di quanto si potesse immaginare agli inizi del secolo. Il lavoro del genetista inglese W.D. Hamilton, fondato sulla cosiddetta selezione di parentela, la teoria dell’altruismo reciproco di R.L. Trevers, i contributi degli ormai numerosi autori che hanno approfondito il tema dell’evoluzione del comportamento altruistico – di quel comportamento cioè che arreca benefici a certi soggetti causando rischi e svantaggi a chi agisce – se ne può trovare una vasta sintesi nella nota opera di Edward D. Wilson, Sociobiology. The New Syntesis, 1975 – si possono considerare una conferma di quanto sostenuto a questo proposito da Kropotkin. D’altronde, il fattore «altruistico» è oggi posto in relazione per così dire simmetrica con ciò che Konrad Lorenz ha chiamato il «cosiddetto male», cioè l’aggressività, a sua volta divenuta oggetto di studio da parte della sociobiologia, dell’etologia, della genetica. L’approccio di queste scienze ai problemi etici è in ultima analisi vicino a quello che Kropotkin aveva auspicato e i risultati globali non sono lontani da quanto egli aveva intuito.
Ma se le nuove scienze del comportamento oggi sostanzialmente convalidano le intuizioni di Kropotkin, il suo fondamentale assunto – che occorresse gettare le fondamenta di un’etica moderna, coerente con il metodo della scienza – è stato al contrario ignorato dalle principali etiche del XX secolo. Se si guarda ai grandi sistemi socio-politici di questo secolo, si vedrà quanto tale oblio sia stato ampio. «Comunismo», «fascismo», «capitalismo tecnocratico», hanno fondato le loro etiche su «verità» che, presentandosi come assolute, condannavano il relativismo scientifico. L’etica che quei sistemi hanno fondato e diffuso appare in realtà desunta da pseudo religioni sociali, che rimettevano in auge quella mistica da cui Kropotkin – nel proporre un’etica «nuova» – raccomandava di staccarsi nettamente. Si è verificato ciò che lo stesso Kropotkin, nel secondo capitolo dell’Etica, mostrava di paventare, cioè la rinascita del misticismo come motore dell’azione umana. L’etica scientifica si è rivelata obiettivo troppo difficile per un secolo ansioso di certezze, incline ai miti, pronto a trovare «senso» in surrogati sociali della religione, e – nella sua ultima parte – addirittura in religioni storiche abilmente adattate a finalità sociali. Ben poco spazio poteva rimanere a una ricerca scientifica in campo etico (quale Kropotkin postulava) in una tale temperie fideistica dove il metodo della scienza, per quanto riguarda i problemi etico-politici, si è radicato solo in pochi scrittori.
L’uomo del XX secolo ha mostrato dunque di essere immaturo per un’etica estranea alla religione, alla metafisica e all’imperativo categorico. Oggi la «mancanza di senso» viene da molti intesa come mancanza di «certezze» e indicata come riprova della necessità d’un nuovo profetismo, l’attesa di un avvento che in qualche modo riempia la vita.
Questa smentita storica dell’ottimismo in fatto di progresso etico, di cui Kropotkin fu un insigne rappresentante, non è tuttavia elemento sufficiente per diminuire l’importanza dell’intuizione kropotkiniana in termini di necessità di un’etica coerente con il progresso scientifico. Semmai costituisce una significativa riprova di tale esigenza. Si può aggiungere che l’intuizione di Kropotkin, secondo cui l’evoluzione va vista, oltre che come lotta, come solidarietà e creazione di modelli comportamentali atti a produrre migliori condizioni di vita, può essere oggi interpretata come necessità di adeguare l’etica a una nuova serie di bisogni che – nonostante tutto – sono venuti in evidenza nel travagliato corso del XX secolo.
Alla luce della teoria evoluzionistica dei bisogni, e soprattutto della concretezza antropologica di alcuni nuovi bisogni, l’impianto naturalistico dato all’etica da Kropotkin appare quanto mai attuale: in un certo senso esso fra ora più ragioni di esser recepito e valorizzato di quante ne avesse nei primi anni del secolo. Si può anche osservare che, proprio sulla scia del generale assunto che l’etica deve essere una diretta conseguenza del rilevamento dei bisogni (come, del resto, l’economia politica quale Kropotkin la concepì – chiamandola «fisiologia della società» – in Scienza moderna e anarchismo e La conquista del pane) esiste oggi una larga concordanza sulla necessità di mettere a punto un insieme di norme di comportamento in cui i bisogni individuali e collettivi trovino un nuovo equilibrio. Questo è, probabilmente, il presupposto fondamentale di ogni teoria e di ogni prassi della partecipazione socio-politica, di ogni esperienza «autogestionale» e/o comunque regolata dal principio di cooperazione anziché da quello di dominanza. Senza un’etica che determini e fissi le regole del partecipare, stabilendo un adeguato dosaggio di realizzazione del sé e dedizione agli altri, di lavoro e godimento, di efficienza produttiva e di rispetto della persona, è difficile immaginare la nascita di una società partecipativa. Si tratta di un problema apparentemente astratto ma in realtà molto concreto, perché ogni esperienza innovativa in questo campo deve avere un background comportamentale omogeneo con le sue finalità generali. Il problema etico presenta inoltre, oggigiorno, molti ambiti collaterali che emergono senza apparente coerenza con quel nucleo fondamentale, pur essendone in realtà dei corollari. La natura delle relazioni di ruolo – oggi largamente strumentali e alienanti – i legami familiari e sentimentali, i legami amicali tanto maltrattati dalle società autoritarie del XX secolo, le relazioni sessuali e la loro compatibilità con i rapporti istituzionali di tipo personale, le forme e i metodi dell’educazione, le relazioni tra genitori e figli, quelle tra insegnanti e allievi – questi sono altrettanti campi problematici ai quali l’etica deve dare risposte coerenti con i nuovi bisogni: e non i soli. L’esortazione kropotkiniana a fondare una nuova etica si presenta, nei riguardi di questi problemi, di pressante attualità, perché essi sono una naturale conseguenza della maturazione antropologica avvenuta nelle società avanzate, nonostante la grande ondata totalitaria del XX secolo.
Si può dedurne che, molto più di questo fosse possibile quando Kropotkin componeva la sua Etica, questi bisogni debbono essere affrontati con soluzioni comportamentali isomorfe ai loro specifici contenuti. Qui, chiaramente, la necessità di por mano a una rifondazione scientifica dell’etica sfocia nella necessità di affrontare precise istanze sociali. Tuttavia questo modo indiretto non fa che convalidare la fondatezza del pensiero kropotkiniano, secondo cui ogni società deve procedere, dalla constatazione dei suoi bisogni, trovando poi la strada per soddisfarli, e non dedurre i bisogni da qualche principio o «verità» calati dall’alto.