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Pinelli una storia Venezia 1984 Crocenera anarchica

Home Centro studi libertari - Archivio G. Pinelli

Visto che non viviamo più i tempi della rivoluzione, impariamo a vivere almeno il tempo della rivolta - Albert Camus

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Intervista a Maria Zazzi

Armando Malaguti e Maria Zazzi. La foto è stata pubblicata sul n. 91 (aprile 1981) della rivista “A”

[estratto dal Bollettino 56]

Eccoci al terzo capitolo della rubrica Storia orale e alla terza trascrizione di un’intervista realizzata da Claudio Venza nei primi anni Ottanta. Questa volta tocca alla piacentina Maria Zazzi, una delle compagne più attive della prima metà del Novecento. L’intervista si svolge a Roncrio, periferia di Bologna, nella casa che Maria condivide all’epoca con Libero Fantazzini. Lo scopo principale dell’intervistatore in questo caso non è tanto di ricostruire l’intera sua biografia - densa di eventi e incontri - quanto di raccogliere informazioni sull’emigrazione anarchica in Belgio durante il fascismo, paese in cui Maria aveva vissuto per un periodo insieme al suo compagno di allora, Armando Malaguti. In particolare le domande di Claudio vertono sulla presenza degli anarchici carnici, che in effetti Maria conosceva bene. 
Ringraziamo l’amico veronese Pietro per il prezioso lavoro di sbobinatura.
 
MZ: Maria Zazzi / CV: Claudio Venza 
 
CV – E allora cominciamo a parlare un poco di Luigi D’Agaro. Tu l’hai conosciuto a Liegi, no?
MZ – A Liegi, sì. Allora c’aveva i bambini con lui, ed era già stato arrestato. E ovviamente, come al solito, si trovava in miseria, perché sai, quando sei fuori, all’estero… – e lui era anche stato espulso dal Belgio – magari ti ritrovi senza lavoro fra una cosa e l’altra. Io invece lavoravo. Quando si sono ammalati i bambini, per mezzo di un socialista di cui adesso non mi viene il nome, un socialista belga, siamo andati a trovarlo e siamo riusciti a metterli in un sanatorio, un sanatorio di Bruxelles.
CV – I bambini erano Vero e Trionfo?
MZ – Sì, anche Trionfo. Poco dopo anch’io sono dovuta scappare da Liegi, e allora sono andata a Bruxelles. La moglie si chiamava Maria [Elena Martin]. A quel punto si era deciso a tornare in Italia, perché lui comunque lì l’avevano già arrestato.
CV – Nel 1932…
MZ – Sì, l’avevano già arrestato nel 1932, tra il 1931 e il 1932, credo. So che io ero andata a Bruxelles, e poco dopo anche lei venne lì a Bruxelles e stette sette-otto giorni da me. Io andavo ogni tanto a trovare i bambini lì al sanatorio, dato che ero a Bruxelles, e quando li andavo a trovare sembrava che arrivasse… poverini. Perché erano tanto affezionati a me questi bambini, e anche lei, la Maria. Dopo abbiamo fatto in modo di poterle dare qualche cosa ed è tornata in Italia anche lei. Dall’Italia io non avevo saputo più niente.
CV – E non hai mai saputo che lui era stato arrestato per aver partecipato al funerale di un anarchico?
MZ – No, questo non l’ho saputo.
CV – L’anno dopo che è rientrato in Italia, il 1° giugno del 1933 c’era stato il funerale di un anarchico di Prato Carnico, anzi di Pesariis, un paesino lì vicino, che era morto a Champigny, vicino a Parigi. Giovanni Casali si chiamava. Da lì era stato trasportato a Prato dove c’era stato il suo funerale durante il quale anche Luigi D’Agaro aveva parlato. Ed era stato arrestato e confinato.
MZ – Ecco. L’avevo sentito dire vagamente, ma non sapevo bene il perché.
CV – … e quindi voi non avevate più contatti.
MZ – … non avevo sentito più niente [da Maria]. Mi aveva lasciato il suo indirizzo, ma figurati… solo dopo la liberazione – perché prima anche noi eravamo sempre sorvegliati, e quindi non l’ho mai cercata, e neanche lei – mi scrisse dicendomi che D’Agaro era morto. Mi scrisse nel 1945 che era morto, e da lì in poi ha cominciato a scrivermi qualche lettera. E insomma, sembrava che avessi fatto tutto io, e invece non avevo fatto un bel niente. Mi scrisse che Trionfo era in Canada.
CV – Ma Trionfo era morto. Era Vero.
MZ – Cioè: Vero, Vero, Vero.
CV – Trionfo era morto al confino.
MZ – Sì, Trionfo era morto al confino. Un bambino coraggioso, sai, un bambino che era già di otto-nove anni. Ecco, dopo mi scrisse che Vero era andato in Canada. Mi poi scrisse anche Vero dal Canada… ma non ho più le lettere, non le ho più. E lui si ricordava sempre di quando lo andavo a trovare, da bambino, e se gli portavo qualche cosa sembrava che gli si portasse il mondo, e invece erano due caramelle… Sono stata molto amica di D’Agaro.
CV – Ti ricordi quando era arrivato D’Agaro a Liegi? 
MZ – A Liegi sarà arrivato nel 1928… Sì, sarà stato verso il 1927-28.
CV – Comunque tu sei stata diversi anni lì con lui, lo hai conosciuto bene.
MZ – Sì sì, quattro anni di sicuro.
CV – E in questi quattro anni lui era riuscito a trovare lavoro? A fare qualcosa?
MZ – Faceva il muratore, o il manovale, insomma lavorava nell’edilizia. Ha sempre lavorato, o meglio ha sempre lavoricchiato. Poi lì c’era anche [Enrico] Zambonini, c’era [Angelo] Sbardellotto, eravamo tutti lì, anche Bruno Gualandi. C’erano tutti, tutti, a Liegi.
CV – Ma facevate anche una qualche attività? Tu facevi qualche attività con Luigi D’Agaro?
MZ – Con tutti quanti assieme.
CV – Qual era questa attività?
MZ – Ci riunivamo e quando c’era qualcosa da fare, la si faceva. Quando c’era qualche compagno in prigione lo si andava a trovare – io cosavo per andare a trovarli, e portarci qualche cosa. E poi sempre nelle riunioni si decideva cosa fare… nel 1927 c’era stato il movimento per Sacco e Vanzetti. Abbiamo fatto molto lì: stampare i manifesti, attaccarli, fare sempre propaganda.
CV – E tu ti ricordi di questo Circolo di studi sociali? Le carte di polizia dicono che si cercava di costituire un Circolo di studi.
MZ – Si cercava di farlo, ma non si era mai trovato lo spazio in cui farlo. E per le riunioni e tutto si andava a Smep, da un compagno, un piccolo paese vicino a Liegi [MZ si riferisce a Jemeppe sur Meuse, a ovest di Liegi]. Si andava in casa di questo compagno che era un minatore, un belga. E poi sai, un po’ di compagni erano dentro, e dunque si faceva propaganda anche per loro, per cercare di tirarli fuori, come quando hanno arrestato [Francesco] Gasperini. Lo volevano estradare in Italia perché era condannato a 26 anni, e qualcosa doveva farsi anche qui in Italia.
CV – Per che cosa era?
MZ – Per i fatti di Baragazza [paese vicino a Bologna dove un fascista era stato ucciso nel 1921]. Anche lui era stato condannato e lo volevano estradare in Italia. Noi abbiamo preso un avvocato, e questo avvocato ci dice che vuole dei testimoni. E testimoni non ce n’erano. Allora dice: “Beh, se non ne avete, fabbricatemeli”. Tre testimoni. E allora, sai, decido che ci andavo io dall’avvocato. E ci siamo andati. Insomma, siamo riusciti a non farlo estradare e a tirarlo fuori.
CV – E su cosa bisognava testimoniare… sul fatto?
MZ – Sul fatto. Ma io il fatto non sapevo neanche che era stato fatto… [ride]. Ma l’avvocato – un belga, l’avvocato Leaux [trascrizione dalla pronuncia della Zazzi] di Liegi – fu molto gentile: mi portò tutto il suo dossier, che parlava del processo, e così l’ho potuto…
CV – L’hai ricostruito, l’hai potuto studiare [ride].
MZ – Sì, l’ho potuto studiare, e poi sono andata a testimoniare.
CV – In che anno c’è stato il processo a Gasperini?
MZ – Sarà stato il 1938, credo, sì il 1938. E lì si faceva questo tipo di cose, ecco cosa si faceva… o almeno quello che si può dire.
CV – Ma oltre all’attività, abitavate assieme? Vi vedevate spesso?
MZ – Sì ci vedevamo spesso, specialmente tutte le domeniche, perché tutte le domeniche c’era riunione. Poi delle volte anche quando si usciva, si abitava tutti lì, a Liegi, ci incontravamo. Oppure quando abitavano su, a Seraing.
CV – Partecipavate a manifestazioni?
MZ – Sì, moltissime…
CV – Durante il Primo Maggio?
MZ – Il Primo Maggio l’abbiamo sempre fatto. Abbiamo fatto un Primo Maggio che… c’è da ridere sai… perché…
CV – In che anno? Ti ricordi?
MZ – Dev’essere stato il 1929, credo, sì il 1929.

 

Italo Cristofoli detto Aso (1901-1944).

CV – Quindi c’era Luigi D’Agaro?
MZ – Sì, al tempo c’era anche lui. Però, chissà come, non ci siamo accordati su dove dovevamo trovarci, oppure non ci siamo capiti. Perché la manifestazione cominciava in un posto – sempre a Liegi, ma dall’altra parte, perché a Liegi c’è la Mosa [fiume Mosa] che l’attraversa – che stava dall’altra parte del fiume, che qui sarebbe come dire a San Lazzaro [San Lazzaro, Bologna].
CV – Una grande città, Liegi.
MZ – Sì, abbastanza grande, insomma, era una bella cittadina, abbastanza grande. Ma noi dovevamo trovarci tutti là per la dimostrazione, per il corteo. Invece, purtroppo arriviamo là e ci siamo solamente io, il mio compagno, Armando [Malaguti], Ledoux, che era un compagno belga – quello che teneva l’amministrazione e tutte le cose nostre – e sua moglie: eravamo quattro. Avevamo portato due gran sporte di libri, un bandierone che fai conto di vedere un lenzuolo da due piazze – era enorme, solo nero, non c’era né una striscia rossa né niente, tutto nero – e un mucchio di giornali, perché si credeva di fare un banchetto su cui mettere un po’ a posto la roba. Invece arriviamo lì e non c’era nessuno.
CV – Ma nemmeno nessun altro manifestante?
MZ – No, no, gli altri c’erano, ma erano tutti comunisti, socialisti, insomma c’erano tutti. Ma di noi… siamo stati solo noi a non aver capito dove incontrarci. Così, carichi come muli, abbiamo dovuto… insomma, c’era da fare il corteo. Ci mettiamo in mezzo [al corteo], tutti carichi e con questo gran bandierone che portava Ledoux, perché come belga… noi non potevamo portarlo. Lo portavamo ugualmente, ma insomma, sai, era un po’… Comunque ci siamo infilati in mezzo a loro. Ma, poco alla volta, poco alla volta, siamo rimasti solo noi quattro. Alla fine avremo fatto un due chilometri solo noi quattro con questo gran bandierone. La gente intanto era a correre di qua e di là dai marciapiedi – per guardare – e alcuni cominciavano a dire: “C’è un gruppo fascista”, “c’è la bandiera fascista”. “No! Siamo il gruppo anarchista” dicevamo, ma sai… E finalmente siamo arrivati nella piazza centrale, e lì, sempre con la bandiera, abbiamo incontrato tutti i compagni. Roba da ridere, e io dicevo “[incomprensibile]”. Insomma, alla fine ci siamo trovati, e c’era anche D’Agaro, c’erano tutti.
 
Scheda segnaletica di Luigi D’Agaro detto Cinc.
 
CV – Ti ricordi qualcos’altro di Luigi D’Agaro? Ti ricordi che si chiamava “Cinc”?
MZ – Sai che non lo sapevo? Cinc. Non lo sapevo.
CV – Si vede che era il nome che usavano solamente i suoi compaesani.
MZ – Sì, il nome usato nel suo paese, perché là mai. Lo abbiamo sempre chiamato Luigi.
CV – Ti ricordi qualche altro episodio di lui? Dicevi che eri molto amica della moglie.
MZ – Sì anche della moglie. Una brava compagna la moglie. Una sera che c’era un… intrapreneur, come si dice…?
CV – Un imprenditore?
MZ – Ecco, esatto. Un imprenditore edile per il quale lavorava D’Agaro, un italiano, un delinquente proprio, che delle volte il sabato, invece di pagare [i dipendenti], si presentava con la rivoltella.
CV – Ah, sì?
MZ – Sì, era proprio un porco. E allora una sera diciamo a D’Agaro: “Facciamo una bancata” [termine del dialetto emiliano, una bancata di botte]. “Ma come si fa?”, e qui e là. Insomma, il tipo è sempre in mezzo a tanta gente. E allora gli dico: “Beh, te lo vado a chiamare io”. Andava sempre in un bar in cui c’erano degli italiani. Era un friulano, credo.
CV – Non ti ricordi il cognome?
MZ – No, non me lo ricordo. Lo sapevo sai… sono andata lì a chiedergli se era il signor … Lui era lì che parlava con degli altri – io avevo 22-23 anni – e come arrivo gli dico: “È lei il signor…?”.  “Sì” mi dice. Era un po’ seduttore, e io gli dico: “Guardi, c’è una persona che le vuole parlare… se vuole venire fuori un momento…”. E lui subito mi è venuto dietro e l’ho portato un po’ lontano, perché era un posto che aveva tutta campagna intorno. Lo portai fuori e per la strada intanto ci parlavo: “…e qui e là, una cosa e l’altra”, insomma si parlava. Poi ho visto che c’erano là gli altri due, c’erano D’Agaro e poi l’altro, ma non so chi, non mi ricordo…
CV – Non era Italo Cristofoli, non era Aso?
MZ – No, non era lui… ma non mi ricordo chi fosse. So che poi ho sentito dei lamenti. Io me ne sono andata, ma i lamenti me li ricordo. Gli hanno dato una gran bancata, perché poi era un fascista, era un fascistone quello lì… una gran bancata.
CV – Ho trovato sui documenti di polizia che lui, appunto, era stato considerato il responsabile di un’azione di questo genere. Anzi, una volta lui era andato in un’osteria di italiani, dove era andato anche un fascista, e allora lo aveva buttato fuori. D’Agaro, a quel fascista.
MZ – Ah, ce ne può esser stato anche un altro. Succedeva spesso. Perché anche ad Armando, il mio compagno, è successo qualcosa di simile. Era a Liegi, giusto in un’osteria italiana, ed era un sabato sera, e lì ce n’erano due. Vedi questo qui me lo ricordo: un certo Morganti, di Milano. E l’altro si chiamava… anche lui era stato un tenente del fascio, un pezzo grosso che c’aveva anche una bottega… Leone Leoni credo che si chiamava. E lì, sai, era andato per provocare, e infatti dice: “Hanno fatto bene ad ammazzare Matteotti” . Figurati, Armando scattava subito come un coso… Si è alzato e gli ha detto: “Ripeti se hai il coraggio!”. Ma non l’ha lasciato mica ripetere, perché gli ha dato un cazzotto e l’ha buttato per terra. E allora questo cercava di infilare la mano in tasca per tirar fuori la rivoltella, ma Armando ha pigliato la sedia e gliel’ha spaccata in testa, e dopo anche a quell’altro, Morganti. Perché anche quel tenente, quel fascista lì, prese a dire che avevano fatto bene ad ammazzare Matteotti. Dopo quel fatto ci fu l’espulsione di Armando.
CV – Fu preso, fu arrestato?
 
Un’immagine del processo ad Angelo Sbardellotto che ebbe luogo a Roma il 16 giugno 1932 tra le 9 e le 11 di mattina. Sbardellotto, che non chiese la grazia, venne fucilato all’alba del giorno successivo.
 
MZ – Sì, ci fu l’espulsione, ma non l’hanno neanche arrestato: l’hanno solo espulso. E lo stesso è successo a D’Agaro: non l’hanno mica arrestato, solo espulso.
CV – Ma lui, pur essendo espulso, usciva da una stazione e tornava da un’altra?
MZ – Doveva cambiare città…
CV – Ma aveva cambiato città?
MZ – No, non aveva neanche cambiato città, perché oltretutto era rimasto senza lavoro. Era disperato. Io potevo aiutarlo un pochino, ma dopo era rimasto a casa anche mio marito, da sola a lavorare [da sarta], non era che potevo aiutare molto, facevo quello che potevo.
CV – Che tipo era Luigi D’Agaro? Come persona, come individuo?
MZ – Simpatico. Come Libero [Fantazzini]… forse un po’ più magro…
CV – Prima hai ricordato il problema che D’Agaro ha avuto con il suo datore di lavoro. Dopo non ha più lavorato lì, suppongo. Ma è riuscito a trovare un altro lavoro sempre nell’edilizia?
MZ – Purtroppo dopo fu espulso, sai, tra una cosa e l’altra… Ma non credo che sia stato espulso per quel fatto lì, perché non…
CV – Perché nessuno venne a saper niente?
MZ – Eh, nessuno venne a… non abbiamo mai avuto...
CV – Era italiano anche lui, dicevi.
MZ – Friulano, mi sembrava che fosse. Eh sì, credo che sia successo perché anche D’Agaro lo era… non dello stesso paese, ma dello stesso posto, insomma lì, verso il Friuli.
CV – Si sentiva anche lui responsabile in qualche modo.
MZ – Sì. Io non so se l’avesse fatto anche con lui [di non pagare], può darsi che con lui non l’abbia fatto. Ma con gli altri sì, e D’Agaro sapeva che faceva così, che invece di pagarli si presentava in quel modo lì. E questi poi venivano espulsi e non ci potevano far niente. Niente. Se non darci una lezione, come poi gli è stata data. 
CV – Tu hai conosciuto bene sua moglie, mi dicevi, e quindi hai parlato molto anche con lei. Che tipo di persona era?
MZ – Molto gentile, una persona molto buona, ecco.
CV – Anche lei si dichiarava anarchica?
MZ – Sì.
CV – Ma lo era di famiglia? E dove si erano conosciuti: all’estero o in paese?
MZ – Si erano conosciuti in paese. A Prato Carnico Del Bas…
CV – Poteva forse essere Osais? O Lavausa? Forse era una località, Del Bas.
MZ – Era proprio dove stavano loro.
CV – Perché Prato Carnico ha nove frazioni.
MZ – Prato Carnico Del Bas, era. Avevo anche l’indirizzo. Adesso non c’è lo più, ma me lo ricordo ancora. Per il resto, lei era molto carina, e anche molto… apprensiva per quello che faceva suo marito. Poi là, come si fa quando si è fuori, all’estero, ci incontravamo molto fra noi nelle case, in casa di uno o in casa dell’altro, e si stava assieme, ecco. Perché si fa come i meridionali…
CV – Come gli immigrati.
MZ – Sì, come gli immigrati. Noi facevamo lo stesso quando eravamo all’estero. Del resto… anche Italo era sempre presente.
CV – Italo Cristofoli.
MZ – Anche lui, sempre. Un bravo ragazzo, un ragazzo energico quando si andava via ad attaccare i manifesti per una cosa e per l’altra, per la campagna di Sacco e Vanzetti. Si andava fuori di notte ad attaccare i manifesti.
CV – E c’erano sia D’Agaro che Italo?
MZ – Sì. Italo, D’Agaro… c’era Bruno Gualandi in quell’epoca lì, che poi è morto in Spagna. E c’era Sbardellotto, quello che cucinava [in quelle sere]. Si andava fuori la sera ad attaccare i manifesti, soprattutto per Sacco e Vanzetti. Una volta siamo andati fuori – saranno stati i loro ultimi otto-dieci giorni – con dei manifesti meno grandi… di grandezza erano così [mostra la misura con le mani].
CV – Ah, piccolini.
MZ – Lunghi, ma grandi così, con solo una parola: “sciopero generale”. C’era scritto solo così “sciopero generale” e basta. E siamo stati fuori tutta la notte, ne abbiamo attaccati un mucchio dappertutto, e il mattino dopo gli operai che andavano a lavorare vedono tutti questi manifesti: “sciopero generale”, “sciopero generale”. Sono corsi tutti alla Camera del lavoro per vedere cos’era successo. Loro non sapevano niente, non lo sapevano. Allora c’era Laux, un deputato comunista di là. Era comunista, ma non era come quelli sfegatati che ci sono anche in Italia: era galante, e anche abbastanza buono. Appena ci ha visti, quando siamo arrivati lì anche noi, ci fa: “Siete stati voi! Ma come avete fatto? Siete quattro gatti… avete sbandierato dappertutto”. E allora mio marito gli ha detto: “Adesso tocca a te”. E lo ha detto perché noi non si poteva far altro.
CV – Era lo sciopero per Sacco e Vanzetti.
MZ – Per Sacco e Vanzetti, sì, sì.
CV – Ma loro erano già stati uccisi?
MZ – No, ancora no. Era quando gli avevano dato gli ultimi dieci giorni, e dopo li hanno uccisi. Perché, sai com’era, noi non potevano prendere la parola, sennò ti pigliavano subito. Allora gli abbiamo detto:“Adesso tocca a te”. 
CV – E loro hanno fatto lo sciopero generale?
MZ – Sì, sì. Hanno fatto tutto, prima lo sciopero generale e poi dieci giorni dopo, quando li hanno uccisi, hanno chiuso tutto. C’era aperta solo una bottega, una botteghetta che aveva fuori i suoi bei vasi pieni di confetti, di cose. Era chiuso dappertutto, ma quella bottega era aperta. Allora sono andati dentro e hanno detto [alla proprietaria]: “Signora, chiuda per bene, perché tutti hanno chiuso”. E lei dice: “Io per quelle sciocchezze non chiudo”. C’era [Vittorio] Malaspina, e coso come si chiama… ne abbiamo parlato fino adesso, che poi è morto… Gasperini! C’era Malaspina davanti, Gasperini dietro e non so chi altri, credo che ci fosse Italo.
CV – Italo Cristofoli.
MZ – A Liegi ci sono tutti quei mattoni, quei sassi per la strada, no? Ho visto che stavano lì a frugare, poi hanno preso ‘sto sasso e WUEEEM contro i confetti… che si sono sparsi dappertutto. Non è successo niente, non hanno nemmeno chiamato la polizia. E poi c’era il corteo.
CV – Ah, il corteo, è stato fatto durante il corteo.
MZ – Durante il corteo, sì. E io portavo la bandiera nera, l’ho portata a lungo… ed era tanto pesante.  L’ho portata per un bel pezzo, ma dopo dico agli altri che non ce la faccio più. E lì c’è Bruno vicino a me e la prende lui.
CV – Quindi questo è un episodio che avviene nel 1927.
MZ – Nel 1927, sì. Più tardi, nel 1930, mio marito viene espulso, e noi scappiamo a Bruxelles.
CV – Ti ricordi qualcos’altro di Italo Cristofoli?
MZ – No. So che è stato un partigiano molto attivo… non so più chi me l’ha detto.
CV – Era scritto, per esempio, su “A rivista anarchica” che è morto durante un’azione, cercando di attaccare una caserma dei fascisti a Sappada. Nel luglio del 1944. È stato uno dei primi a creare la resistenza armata. Ma lui quanto tempo è rimasto in Belgio? A Liegi proprio.
MZ – Ci siamo persi di vista subito, dal 1930. Ci siamo persi di vista perché noi, quando eravamo lì, eravamo in regola. Ma allora, sai… uno si nascondeva da una parte e uno dall’altra. Ma fino al 1930 siamo stati assieme.
CV – Quindi Italo Cristofoli era un tipo molto deciso, coraggioso, uno che prendeva molte iniziative.
 
Il monumento che il paese natale di Angelo Sbardellotto – Mel, in provincia di Belluno – ha dedicato allo sfortunato attentatore di Mussolini. Le foto sono di Fabio Santin (estate 2020).
 
MZ – Sì, sì, coraggioso…
CV – Lui che lavoro faceva?
MZ – Anche lui il manovale.
CV – E anche lui cercava di... vi vedevate spesso, quasi ogni domenica?
MZ – Sì, sì, ci vedevamo tutti di domenica. Delle volte ci incontravamo anche infra-settimana, se la sera magari si andava un po’ fuori.
CV – E di cosa discutevate?
MZ – Sempre del fascismo, di quando andrà giù, di quando… e allora uno farebbe questo, uno farebbe quest’altro, sai com’è.
CV – E poi c’era anche la discussione sulle iniziative da prendere.
MZ – Sì, da prendere. Ma sai, erano tutte iniziative ben lontane, in quel momento lì. Erano nella nostra testa…
CV – Però, per esempio, Sbardellotto è venuto da quell’ambiente.
MZ – Sì, sì, sì.
CV – E quindi è stato aiutato dai compagni del Belgio.
MZ – Sì. L’ultima sera che lo vidi noi stavamo già a Bruxelles. Era espansivo, sai, era un tipo allegro, almeno con noi. C’era molta confidenza perché era sempre lì in casa. Dopo che mio marito picchiò quel fascista, Leone Leoni – lo picchiò a Liegi – andò a trovare Sbardellotto a Seraing. Lui abitava lì e lo trovavi da Giovacchino, un’osteria di italiani. Conosceva bene mio marito, ma ci conoscevamo tutti: uno era un compagno, l’altro un simpatizzante… Quella volta [mio marito] andò a bere qualcosa [da Giovacchino], e aveva la faccia – qui – tutta storta… E questo gli fa: “Cos’hai fatto?”, e lui gli dice che è caduto in motocicletta. Nel frattempo entra anche Sbardellotto. Allora Giovacchino, il padrone, gli dice: “Boh… Lo hai visto? Dice che è caduto in motocicletta”. E lui gli dice: “Quello è un pugno al fasòl, sicuro”…
CV – Al fasòl era…?
MZ – Questa [la mandibola] la chiamavano fasòl. E aggiunge: “Quello è un pugno al fasòl, el l’ha ciapà, sicuro! Venìa da Liegi, sicuro”. Poi Sbardellotto pigliò il tram e venne su a casa nostra a sentire cos’era successo. Una volta lì chiede ad Armando: “Cosa hai avuto?”, e lui gli dice che gli han dato un pugno così che gli ha spostato la mandibola…
L’ultima volta che l’ho incontrato eravamo a Bruxelles, perché era un po’ di tempo che non ci vedevamo. Io ero lì con Armando e lui mi fa (per quello dico che eravamo molto amici): “Ciao amore mio!!”, e mi dà un morsicotto, per baciare, così, spontaneo! Mi dà un gran morsicotto in faccia. E quando ci siamo lasciati – perché si era già sulla sera – mi dice: “Sentirai parlare di me”. Non mi disse nient’altro, solo questo: “Sentirai parlare di me, presto”. Io non c’ho domandato niente… “Bene”, gli faccio. Lui se ne va, e la settimana dopo, dieci giorni dopo, vado giù a pigliare il giornale, e vedo… Sbardellotto, che lo hanno arrestato. Ci sono rimasta tanto male, ero ancora sulla scala e ho gridato: “Armando! Lo hanno arrestato, lo hanno preso”. Non c’era riuscito. Come Schirru, la stessa cosa. Anche lui, Schirru, era a Bruxelles. Sono tutti compagni che si conoscevano tra loro, con cui si è vissuto assieme…
CV – Voi pensavate che eliminando Mussolini, il regime sarebbe entrato in crisi?
MZ – Sì, in crisi. Si pensava non che sarebbe finita, ma che eliminando Mussolini si sarebbe fatto un passo avanti, ecco.
CV – La schedatura di polizia dice che Luigi D’Agaro aveva un carattere violento e aggressivo. 
MZ – No. Non è vero per niente.
CV – E poi dicono che era… sì, che non sembrava una persona molto intelligente. Qualcuno dice che aveva dei problemi.
MZ – Ma sai… come tutti…
Terza Persona [Libero Fantazzini] – Autodidatti, insomma, che si appassionavano alla lettura, e seguivano le linee… Anzi erano al di sopra, generalmente, della media. Tutti i compagni. Ci voleva già una maturazione per sentire…
MZ – … sì per essere [anarchici] bisognava anche avere intelligenza. Un intellettuale, no di sicuro, ma insomma…
CV – Che avesse un interesse, una curiosità nel campo della lettura…
MZ – Non credo molto, perché erano uomini che lavoravano. E dopo che avevano lavorato, magari andavano a lavorare anche presso altri, insomma dei ciapini…
CV – Dei ciapini?
MZ – Sì, che lavoravano tutta la giornata e poi andavano magari a fare qualche altro lavoro da questo o da quello, se lo domandavano. 
CV – Ma cosa vuol dire “ciapini”?
MZ – Come si dice in italiano? 
[Libero Fantazzini]: Il tipo delle riparazioni. Nelle case. È in dialetto bolognese.
CV – Andavano a fare piccoli lavori nelle case. Quindi lavoravano molto…
MZ – Sì, ecco, e forse non avevano molto tempo per dedicarsi a tante letture. Che poi c’erano sempre tante cose a cui pensare. Uno magari aveva una famiglia, dei bambini, e la moglie non lavorava perché c’erano quei bambini a cui star dietro… Mi viene in mente un episodio. Dato che mio marito era stato espulso, eravamo andati ad abitare dall’altra parte della città, sempre a Liegi. Il padrone di casa era un belga, un calzolaio. E la polizia veniva sempre a fare perquisizioni in casa… Una sera mi vennero a prendere al lavoro e mi portarono a casa, pensando di trovare Armando, ma lui non c’era. Un’altra volta vennero di giorno, un giorno che ero a casa, sempre per cercare Armando. Erano venuti anche alcune volte in cui Armando c’era, ma il padrone di casa lo nascondeva. La porta d’ingresso era ovviamente sempre chiusa. Quando sentiva ‘ste scampanellate forti, Armando scendeva giù da solo – c’era una scalettina – e il padrone di casa gli diceva: “Mettiti lì dietro”. Lui si metteva dietro la porta e il padrone di casa andava ad aprire. E quelli gli chiedevano “Malaguti l’avete trovato?”, e lui diceva: “Trovato? No, non ci sta, Malaguti, non l’ho mai visto venire qui”. “Lei c’è?” chiedevano, e lui diceva: “Sì è in casa. Se volete andare è su”. E allora venivano su a guardare in casa… e c’erano tutti i vestiti di Armando lì, e… 
 
 
L’intervista purtroppo si interrompe qui, o meglio si interrompe qui il nastro della registrazione, danneggiato dal trascorrere del tempo. Di seguito segnaliamo dove si possono trovare ulteriori informazioni su Maria Zazzi e sugli anarchici della Carnia.
 
Per saperne di più sulle biografie dei nomi evidenziati in rosso nel corso dell’intervista si rimanda a Dizionario biografico degli anarchici italiani, voll. 1-2, BFS edizioni, Pisa, 2004. Consultabile anche online su https://www.bfscollezionidigitali.org/collezioni/6-dizionario-biografico-online-degli-anarchici-italiani
 
Per saperne di più sui fatti e sui protagonisti delle vicende carniche citate nell’intervista vedi C. Venza, D. Gagliani, M. Puppini, “Caro compagno, tante cose vorrei dirti...” Il funerale di Giovanni Casali, anarchico. Prato Carnico1933, Udine (Centro editoriale Friulano), 1983.
Si veda inoltre sul nostro Bollettino: Mezzo secolo di anarchismo in Carnia nei ricordi di Ido Petris di Elis Fraccaro (Bollettino 14) e L’ultimo testimone: Ido Petris, Prato Carnico 1931-2020 di Elis Fraccaro (Bollettino 55).
 
Nota del curatore
 
Nell’aprile del 1975 si stava celebrando a Salerno il processo d’appello a Giovanni Marini, accusato di aver ucciso con un coltello uno squadrista locale, tale Faldella, che aveva aggredito, con diversi altri squadristi, lui e un altro compagno, Franco 
Mastrogiovanni, assassinato molti anni da un TSO. In primo grado era stato condannato a 11 anni e, il movimento, come faceva da
 anni in suo sostegno, organizzò la presenza di diverse decine di compagni a Salerno. Ogni giorno si presenziava allo svolgimento del processo e si tenevano manifestazioni in piazza e scioperi studenteschi con assemblee e talvolta cortei. Lo sl
ogan principale era evidentemente “Marini libero” e veniva ripetuto anche con scritte sui muri, manifesti, volantini. L’obiettivo era di influire sull’ambiente sociale salernitano per farlo solidarizzare con Marini.
Mentre noi ci dedicavamo alla propaganda verbale e scritta, altri pensavano a iniziative decisamente più concrete e con obiettivi più ambiziosi. Maria Zazzi e Libero Fantazzini stavano preparando la liberazione di Marini con un assalto al furgone che dopo il processo lo riportava in carcere. Avevano studiato il piano, logicamente con una certa segretezza e con strumenti e informazioni adatte. Ma non fu sufficiente tale livello di riservatezza e la voce cominciò a circolare tra i compagni del movimento presenti in loco. La cosa evidentemente sfumò. Resta però il fatto che due compagni di una certa età (non so di altri che avrebbero appoggiato l’azione) si sentivano in grado di compiere qualcosa che contemplava anche un possibile scontro, non solo
 verbale, con le guardie carcerarie e di affrontare le logiche conseguenze.
A 71 anni (Libero ne aveva due di meno ma gli mancava un occhio), Maria Zazzi non aveva perso la volontà di aiutare i compagni, come aveva sempre fatto, con le azioni dirette solidali oltre che con la propaganda.

 

Storia orale
La voce delle donne
17/06/2025

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